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mercoledì 14 novembre 2018

Come comincia... Ricordati di sorridere di Daniele di Benedetti



Ciao lettori, come state? 
Sì, mi ero dimenticata che oggi è mercoledì e che avevo impostato questa rubrica proprio in questo giorno. Chissà quante altre volte mi capiterà😁

Avete mai letto libri di auto-aiuto? Si tratta di testi specifici scritti da professionisti, tipo life coach e cose così, che trattano temi relativi alla conoscenza di sé, all'autoanalisi, al non dare nulla per scontato, al guardare in faccia quei problemi che non riusciamo a individuare perché diventati routine, ai preconcetti insit dentro di noi, eccetera.
In pratica, servono per aprire gli occhi sulla propria vita, per prendere maggior coscienza di qualcosa che ci riguarda, affrontare i problemi e diventare persone migliori e più felici.

Ci riescono? Sicuramente aiutano a guardare le cose da una diversa prospettiva e a mettere in dubbio nozioni a cui non facciamo più caso ma con cui ci scontriamo ogni giorno, ma è anche vero che ogni persona è diversa e l'aiuto che possiamo darci cambia in base al nostro carattere e alla nostra visione della vita. Ma il discorso è molto più ampio di così, quindi per darvi un assaggio del libro che sto leggendo ecco qui il primo capitolo. Buona lettura!





***

ILLUSIONE COLLETTIVA

Immagina per un attimo che tutto ciò che sai della felicità sia fuorviante, che siano proprio le tue convinzioni sulla felicità a essere la causa della tua infelicità (e della tua frustrazione). Se fosse così? Se fosse proprio la ricerca della felicità a tutti i costi a impedirti di trovarla?

     Le statistiche sono impressionanti: viviamo nel migliore dei mondi possibili (se non altro perché non dobbiamo lottare con la natura per la nostra sopravvivenza), eppure non siamo mai stati infelici come oggi. Ogni anno il 30 per cento della popolazione globale soffre di un problema psicologico riconosciuto. L’Organizzazione mondiale della sanità posiziona la depressione al quarto posto delle patologie più comuni e prevede che nel 2020 salirà al secondo. I coach e gli psicologi sono sempre più numerosi, ma siamo sempre più tristi e depressi.

     Perché?

     Bella domanda. Anzi, ottima.

     Secondo me perché siamo tutti alla ricerca della medesima cosa: la felicità. Non che non ve ne sia in abbondanza per tutti… La cerchiamo, però, nel modo e nel posto sbagliato. Siamo vittime di un’illusione collettiva, che a questa felicità ci porta a mettere un sacco di condizioni. Crediamo che saremo felici se si verificheranno delle circostanze, se raggiungeremo un obiettivo… insomma, ci manca sempre qualcosa.

     E non si scappa, quasi tutti, prima o poi, finiamo per pensarla così: “Saremo felici se…” sembra uno dei cardini del pensiero occidentale, così attento a premiare chi taglia traguardi e ottiene successi.

     Uno dei miei film preferiti è La ricerca della felicità. Giuro: l’ho adorato, conosco intere scene a memoria. Però è un film basato su presupposti completamente errati. Già il titolo fa accapponare la pelle: come se la felicità fosse qualcosa da ricercare chissà dove. Inoltre, mentre il tempo passa e ci identifichiamo ogni minuto di più con il protagonista, finiamo per dare per scontato che il buon Chris Gardner sarà felice solo quando avrà ottenuto ciò che vuole, cioè un lavoro remunerativo. Per l’esattezza, un lavoro che dovrebbe consentirgli di acquistare una Ferrari. Non so se ricordi la scena: un giorno, in preda alla disperazione, vede un broker parcheggiare la sua Ferrari sotto la Dean Witter, un’azienda di intermediazione, e gli pone due domande: «Che lavoro fa, e come si fa?». È così che decide di tentare la carriera di consulente finanziario. Questo, però, trasmette un messaggio distorto: chi viaggia in Ferrari è felice, gli altri no. Chris è un eroe, intendiamoci: un uomo che supera terribili prove uscendone vincente e rafforzato. Ma se alla fine la Dean Witter avesse preferito un altro per il posto di broker, che cosa sarebbe accaduto? Non credo nel fatto che la sofferenza di Chris abbia valore solo in funzione del lavoro che riesce a ottenere. Né che siano i soldi a fare la differenza tra la sua immagine di sé come fallito e come uomo di successo. Eppure è quello che tutti crediamo. Siamo convinti che, se solo avessimo più soldi, saremmo felici.

     
       Una persona veramente di successo non è tale agli occhi degli altri, ma agli occhi di se stessa.
    

     Prima dei miei eventi live faccio girare tra il pubblico dei questionari, per capire quali sono le aspettative delle persone che vi partecipano. Una delle domande è: “Di che cosa avresti bisogno per svoltare, per vivere la vita dei tuoi sogni?”. Il 90 per cento risponde: “Soldi”. Perché? Perché siamo abituati a raccontarci che, se li avessimo, potremmo fare, andare… quando, in realtà, la più importante forma di ricchezza è la felicità stessa, intesa come attitudine nei confronti del mondo.

      Dobbiamo comprendere una buona volta che la strada più efficace è esattamente opposta a quella che ci ostiniamo a percorrere: “Se avrò i soldi, sarò felice” non funziona, “Se sarò felice, otterrò anche il benessere economico”, invece sì. La vittoria sta nel trovare il giusto equilibrio fra una vita vissuta spiritualmente e con pragmatismo, perché vivere con presenza ci condurrà anche a ottenere una maggiore agiatezza.

     Sia ben chiaro: nel desiderare di essere ricchi, di potersi permettere una casa spaziosa, dei begli oggetti, non c’è nulla di male. Mi piace immaginare un mondo nel quale continuiamo ad avere una famiglia, a lavorare con passione, a guadagnare, a goderci la bellezza degli altri Paesi così come quella delle altre persone, ma allo stesso tempo siamo “risvegliati”, accendiamo dentro di noi una luce di conoscenza che non ci renda schiavi delle cose materiali. Non sono un mistico e non ti sto suggerendo di estraniarti dal mondo, di ritirarti in cima a un monte o in un eremo campando di bacche e radici per trovare te stesso. Ci sono persone che credono di aver raggiunto la felicità interiore meditando tutto il giorno, nel silenzio e nella consapevolezza dell’interrelazione con il tutto. Prendiamo Tiziano Terzani, un uomo che stimo dal più profondo del cuore e che ha lanciato un messaggio di grande potenza e amore: la sua vita l’ha condotto a fare questa scelta, a distaccarsi dalla mondanità. Ma siamo tutti in grado di affrontare un cambiamento così radicale? Meglio: vogliamo davvero compierlo? Secondo me, no. Trovo che tale visione sia molto affascinante, capisco e rispetto chi ha scelto e chi sceglie di intraprendere questa strada, ma penso che non sia la migliore per me. Né per quanti vorrebbero essere felici qui, nel nostro pasciuto Occidente.

     È inutile girarci intorno: viviamo in una società tale per cui un tot di soldi è necessario. Una casa a misura della nostra famiglia ci serve. Così come mettere il cibo in tavola tutti i giorni (e magari qualche volta andare fuori a cena). Se vogliamo svolgere il lavoro che ci piace, dobbiamo posizionarci, e vestirci, e attrezzarci di conseguenza.

     I soldi però sono un mezzo, nient’altro. Se valuterai la tua felicità in base a ciò che possiedi sarai schiavo della bramosia del tuo ego, che non si accontenterà mai e ti costringerà a vivere in uno stato di frustrazione costante: magari, sbattendoti molto, riuscirai ad avere di più, ma la tua asticella si alzerà di conseguenza. Il risultato? Ti chiederai perché sei sempre al verde, benché le tue finanze migliorino.

     
       La felicità non dipende dal verificarsi di determinate condizioni. Al contrario, determinate condizioni si verificano come risultato della felicità.
    

     Non sarai felice quando avrai una casa più grande o un cuoco che ti prepara i pasti e guadagnerai una barca di soldi. Così come non lo sarai quando stringerai fra le mani l’ultimo modello di smartphone o calzerai le sneakers più alla moda. E lo affermo da maniaco delle sneakers: il punto è che non mi identifico con la marca delle mie scarpe o del mio smartphone. Sono entrambi oggetti. Dovrei identificarmi con degli oggetti? Vuoi davvero sostenere che la mia e la tua identità passano per gli oggetti che indossiamo e che ci portiamo dietro?

     Ti invito a fare una gita: prendi gli scarponi. Adoro camminare in montagna, per il paesaggio ruvido, per l’aria fredda che mi graffia la pelle, per la sfida che ogni tanto comportano certi percorsi. Poniamo di essere finiti a camminare a 3000 metri, sull’Annapurna. Non c’è nessuno. Siamo solo noi due, immersi nella bellezza, minuscoli di fronte a una delle cime più alte al mondo. Chi siamo? I nostri successi, i nostri fallimenti, il nostro lavoro figo, le nostre cene nei locali stellati, le nostre scarpe di marca, i nostri cellulari di ultima generazione (che non funzionano per il freddo): chi li vede? Risposta esatta: nessuno. Non contano un bel niente. Non sono noi.

     Quando siamo soli con noi stessi, tutto ciò che abbiamo fatto, i risultati che abbiamo ottenuto, gli oggetti che possediamo, perdono di significato. Non contribuiscono alla costruzione della nostra identità. Spogliati di tutto, scommetto però che ci sentiremo felici, sull’Annapurna.


     Perché avremo preso contatto con la nostra gioia interiore. Perché avremo compreso che la felicità è dentro di noi, non fuori.


Ricordati di sorridere
Daniele Di Benedetti
Feltrinelli
Auto-aiuto/Self-help
279 pagine
Pubblicato il 12 giugno 2018

***

Questo primo capitolo è una sorta di introduzione dell'autore, per cui non ci sono grandissimi consigli di vita che vi faranno dire "wow non ci avevo proprio pensato". Ma andando avanti ho trovato diversi pensieri di Daniele che mi stanno colpendo nel vivo e facendo riflettere. 
Altri concetti mi fanno, invece, storcere un po' il naso, ma vorrei approfondire il discorso su questo libro con una recensione completa, quindi ditemi cosa ne pensate...
vi piace questo primo capitolo? Vi fa provare sensazioni positive o lo trovate inutile? E in generale, cosa pensate dei libri di auto-aiuto?
Vi aspetto nei commenti...





4 commenti:

  1. Ciao, Nik!
    No, guarda, io e i libri di auto aiuto non ci prendiamo per niente.
    Sono favolosamente brava a sbagliare da sola e anche a trovare le soluzioni da sola, il life coach è proprio la figura più inutile del mondo secondo me.
    Poi, se ad altre persone invece questi libri servono, ben venga.
    Il mondo è bello perché è vario!

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    Risposte
    1. Ciao carissima.. brava, tu sì che hai le idee chiare! Io sono così così, secondo me i problemi sono soggettivi e non può uno qualunque, anche se ha capito più di tutti, dare consigli e regole universali che possano andare bene per tutti. Quindi questa tipologia di libri mi piacciono e non mi piacciono. Però sperimentare nuovi genere può far scoprire nuove realtà a volte:)

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  2. Ciao :-)
    Non ho mai letto libri di auto-aiuto, ma sono aperta a tutto e non escludo che a volte sento il bisogno di cercare qualche consiglio esterno. Questo primo capitolo, come dici, non dà consigli spassionati, è una sorta di introduzione. Mi trovo d'accordo con quello che dice all'inizio, cerchiamo tutti la felicità e generalmente la cerchiamo nel benessere, mentre forse dovremmo piuttosto fare una ricerca interiore. Non è una cosa semplice però, dovremmo trovare il tempo che la vita quotidiana non ci dà ^_^'

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    1. Ciao Chiara, molto spesso ci dimentichiamo di quello che davvero ci rende felici e diamo priorità al lavoro e alle attività quotidiane più stressanti senza pensare alla negatività che accumuliamo. Sappiamo tutti cos'è davvero la felicità ma c'è bisogno di qualcuno esterno che ce lo rammenti. Secondo me leggere questi libri può essere utile per quello, risvegliare la nostra coscienza su cose che diamo per scontate:)

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